Ho imparato fin da piccola che esistono dei tempi e che quei tempi vanno rispettati! Ho imparato che il sacrificio e la dedizione sono alla base del lavoro, e che non esiste lavoro migliore di quello che si fa per credo o per passione.
Ho imparato che non esistevano le vacanze, che noi non eravamo come gli altri che il week end uscivano a cena. Ho imparato che al pomeriggio dovevamo fare silenzio e che non si poteva fare tardi la sera.
Era il ritmo del pane che decideva per noi: era il suo impasto, il suo lento lievitare. Era lui che scandiva la giornata quando, finalmente, la domenica andavamo tutti insieme al mare. Dettava ticchettando quando si poteva partire e quando si doveva tornare a casa.
Era lui che aveva deciso che gli incubi potevano arrivare solo dopo le 02.00 perchè prima, quel posto di fianco alla mamma nel lettone dove anche i mostri più paurosi scomparivano, era occupato.
Ho imparato che quando è ora è ora, lui non aspettava! Ho imparato che la materia lavorata da mani esperte non solo trasforma la sua forma, ma muta di colore, si forma, di sapore ma soprattutto di odore!
Ho l’idea che la fronte del papà non possa esistere se non imperlata di sudore: che la sua pelle non possa avere altro odore se non quello del lievito.
C’è stato un momento in cui sono arrivata ad odiarlo, il pane! Quel pane che mi portava via il papà, quello stesso che poi è arrivato a “rapire” anche la mamma!!
Ma poi lo guardavo contemplare con gli occhi orgogliosi la bolla perfetta nell’impasto del pugliese, schiacciare uno zoccoletto per sentir sfrigolare la crosta cotta al punto giusto, mangiare il pane di due giorni che sembrava appena sfornato. Non averne mai abbastanza dei dolci che preparava.
Poi un giorno, nel portafogli del papà un ritaglio di giornale, tagliato e custodito con cura. Una poesia! Parlava del pane e della passione di chi ogni giorno ci mette chi ci regala questo miracolo: “Erelo forse condì col to sudor? Erelo cusinà col fogo del to amor?” (El pan de me nona- Laura Da Re).
Lì ho capito con quanto amore il mio papà si alzasse ogni giorno per fare quel lavoro così duro che lo allontanava da noi e che lo rendeva sempre stanco. Quel lavoro che sfasava i suoi ritmi dai nostri, gli devastava la schiena! Lo stesso che però ci sosteneva, che non ci ha mai fatto mancare nulla!
Mi ha insegnato presto che col cibo non si gioca, che bisogna portarvi rispetto! Che essere sempre sorridenti, cordiali, disponibili è importante, quando si è centro di una comunità che vive di piccole cose ogni giorno, anche solo di due panini per fare quattro chiacchiere.
Ho capito che ci vuole amore e dedizione per portare avanti grandi sogni. Per alzarsi e adempiere ogni giorno il nostro lavoro. E in questo momento storico in cui il mio mi pesa così tanto cerco di ricordare a me stessa perchè l’ho scelto.
Ricordiamoci anche che ogni giorno c’è qualcuno che lavora per il nostro benessere e la nostra soddisfazione.
Perciò ” Rispettate il pane, sudore della fronte, orgoglio del lavoro, poema di sacrificio” (cit)
Marta Santin