Patrizia è un grande amica di questa redazione e di chi l’ha fortemente voluta; Patrizia è forse il motore immobile di questo progetto che ormai ha superato il primo lustro. Perché chissà cosa ne sarebbe della nostra cara Gazza, se non ci fosse stato quel primo laboratorio di scrittura al CRO, e poi il secondo e poi… Perciò scrivere una recensione del suo romanzo epistolare pare un’impresa veramente ardita. Come ardito è il suo tentativo di recuperare una relazione padre-figlia attraverso una serie di lettere postume. Botta e risposta, il lettore attraversa la vita familiare di Giò, la sua relazione conflittuale con il padre di cui peró, come spesso accade, da bambina era grande ammiratrice, le relazioni borghesi di una famiglia perbene in cui però ognuno ha i suoi segreti. E infine, ma cosa non meno importante, la vita dopo la morte: la fede incrollabile del padre nel Cristianesimo non è sufficiente per Giò, che cerca risposte in un bagno nell’Eufrate, alle sorgenti della civiltà ma anche della scrittura, oggetto-ponte nella relazione con il padre tipografo di mestiere. La venerazione di uno strano cadavere di vacca da parte delle sue consimili al pascolo le fa intuire le risposte ai suoi perché. Buffo è la parola che meglio descrive questo romanzo, senza offesa per la nostra scrittrice: buffo per il passaggio a libere associazioni tra un tema e l’altro; buffo per l’accostamento di culture e civiltà anche altre rispetto alla norma occidentale; buffo… molto più semplicemente perché è la parola che connette fin da subito Giò con il padre, una simpatica overture che diventa parola chiave dell’intera conversazione. Da leggere, assolutamente, soprattutto se si cercano risposte: l’isola dell’aria è così, come te la saresti immaginata.
“Gli uomini che ci hanno preceduto… scrivevano perché la scrittura arrivasse e permanesse e durasse fino oltre la loro scomparsa, scrivevano perché le parole al vento non potevano bastare… “
Elisa Parise
