C’era una volta un verbo greco poco conosciuto. Un verbo con una lunga storia che ha lasciato dietro di sé tracce che fanno dubitare. Si tratta di ORMÁZO, letteralmente “seguire” ma anche “tifare, fare il tifo per”; insomma il verbo dei follower, se i social avessero raggiunto il monte Olimpo. Poche, dicevamo, le sue testimonianze, quasi come impronte fossili che incontri nella roccia sedimentaria solo con grandissima fortuna, un po’ di intuito e il resto lo fa la fantasia. ORMA è l’unico superstite ad oggi attestato di questa parola antica dal sapore magico: quasi un incantesimo, perché come le orme appaiono e scompaiono, lasciano tracce più o meno nitide a seconda del terreno su cui si imprimono, così anche questa azione sembra non aver voluto essere inseguita nel tempo. È affascinante però trovare una pista di orme nel fango: ad occhio nudo puoi distinguere alcune classi di animali, tuttavia solo l’occhio esperto, valutando dimensione distanza e frequenza, saprà indicare di quale canide si tratti. Sarà forse un grande cane accompagnato dal padrone? O piuttosto un lupo solitario che vagava nella notte? Forse una volpe ha inseguito un daino, e, guarda, eccolo là anche un piccolo mustelide. Che meraviglia! Un crocicchio di animali selavatici, forse attirati dal vicino corso d’acqua… Si immaginano le storie, si tessono le relazioni. Si studia un ecosistema e un tempo più o meno lontano nella storia. Orme, tracce, di tutto ciò che è stato. O forse no. Anche questa etimologia è palesemente falsa: un piccolo scherzo che abbiamo voluto fare in questa rubrica molto dotta, scientificamente costruita, da due che del rigore hanno fatto la propria professione. Ma ORMA-I il lettore che sarà arrivato fino in fondo sorride: perché anche nel rigore della scienza c’è spazio per l’immaginazione, la fantasia, e perché no, per l’inganno delle illusioni.
Elisa Parise
