Per gli appassionati lettori solitamente l’estate si associa all’idea delle piacevoli letture sotto l’ombrellone: libri leggeri, che permettano di svagarsi dalle fatiche quotidiane. Rientrando anch’io nella categoria, ero pronta a perdermi tra le pagine di un romanzo rosa, invece quest’anno, un po’ per caso, un po’ per scelta, mi sono ritrovata tra le mani un libro diverso, una lettura tutt’altro che disimpegnata: “La ferrovia sotterranea” dello statunitense Colson Whitehead. Dello stesso autore avevo già letto “I ragazzi della Nickel”, che racconta la storia di un giovane afroamericano condannato a scontare una pena detentiva in un riformatorio giovanile della Florida degli anni Sessanta. “La ferrovia sotterranea” in realtà precede “I ragazzi della Nickel” e tratta anch’esso della storia del popolo afroamericano; in questo caso, però, siamo nel XIX secolo e protagonisti sono due schiavi che tentano di liberarsi dalle loro piantagioni nel sud-est degli Stati Uniti attraverso una rete di itinerari segreti e luoghi sicuri, la “ferrovia sotterranea”, appunto. Ricostruire la storia della complessa operazione che permise a migliaia di schiavi di fuggire verso gli Stati liberi e il Canada sarebbe interessante, ma estremamente complesso. Mi limiterò quindi a prendere spunto dalle vicende di Cora e Caesar (così si chiamano i protagonisti del romanzo) per riflettere sulla parola “libertà”: una condizione, uno stato, un diritto di difficile definizione. Al solito, l’etimologia ci aiuta a fare un po’ di chiarezza: il termine è legato alla radice dei verbi latini “libet” e “lubet”, che significano “piacere, essere gradito”; libertà è dunque prima di tutto la possibilità di agire secondo la propria volontà, il proprio interesse, mentre la schiavitù è la condizione di chi è costretto a eseguire ordini. Tuttavia, semplificare il concetto affermando che libertà è poter fare tutto ciò che si vuole, sarebbe fare un torto al senso più profondo di questa parola e, in un certo senso, alle storie di chi ha lottato e lotta ancora per conquistarla. Libertà, inoltre, non è solo l’agire senza vincoli o condizioni imposte da altri (tutti, in un modo o nell’altro, siamo soggetti a regole non scelte da noi), è anche un fatto spirituale, per dirla alla Seneca. Il nostro corpo può essere libero di muoversi nello spazio come desidera, ma se non è libera la nostra anima, poco conta. Il corpo stesso, talvolta, può essere una prigione. Seneca infatti scrive: «sono i corpi a essere soggetti e assegnati ai loro padroni, l’anima invece è autonoma, ed è a tal punto indipendente e libera che neppure in questo carcere in cui è racchiusa può esserle proibito di servirsi del suo slancio, di immaginare grandi cose e di spingersi fuori, nell’infinito, in compagnia delle realtà celesti» (ben. 3,20,1). Il discorso è senza dubbio complesso e intrinsecamente filosofico. Forse è più utile pensare a quanto spesso diamo per scontato un bene che non lo è affatto. Forse, in questa estate che ci invita alla leggerezza, spingendo lo sguardo oltre i nostri confini, possiamo gioire della fortuna che abbiamo a poter essere leggeri, quando lo vogliamo.
Francesca Tamai
