Ragazzo dai pantaloni rosa

Non sono un critico cinematografico, non ne ho le competenze, ho un collega fantastico che ricorda nomi, attori, registi, anni di uscita dei film e persino i minuti nei quali ci sono le battute più importanti, io questo non lo so fare però dopo aver visto IL RAGAZZO DAI PANTALONI ROSA due righe le voglio scrivere ugualmente e, come sempre, le scrivo di getto. La storia si apre con la voce narrante, fuoricampo, del protagonista che ci dice che, se in questo momento fosse vivo avrebbe 27 anni, e ci anticipa la tragedia che andremo a vedere. È una storia vera quella di Andrea, una storia come centinaia di altre storie mai raccontate, chiuse con un lucchetto dentro ad un cassetto, una storia di vergogna, di paura, di mancanza di comunicazione, di disattenzione da parte di chi, adulto, dovrebbe controllare, capire, vedere e non sottovalutare ma soprattutto è una storia di adolescenza, di chi cerca, a volte con tanta fatica, il suo posto nella società. È una storia di BULLISIMO e di CYBERBULLISMO, una storia di umiliazione, soprusi, mito mal compreso del SUPERUOMO dannunziano, scherno, complicità silenziosa, divismo, protagonismo. Una storia di amicizia, di quella che dovrebbe essere amicizia. Una storia che in alcuni momenti ti accarezza con la delicatezza di un petalo di rosa ma che subito dopo ti investe come un tir impazzito, ti riempie la faccia e lo stomaco di pugni e ti fa rivivere scene viste e troppe volte coperte da omertà e complicità. Una storia come tante, come troppe altre storie, una storia per pensare, una storia per insegnarci che quelli che sembrano, e che spesso, troppo spesso vengono definiti solo piccoli soprusi possono nella realtà diventare, per chi li subisce, enormi macigni e condizionare per sempre le vite di molti adolescenti, forse più fragili o forse solamente più sensibili. Un film da proiettare nelle scuole sempre che esistano VERAMENTE professori come Robin Williams nell’attimo fuggente, “o capitano, mio capitano”, lui questo non lo avrebbe permesso. Ci pensino genitori, professori, adulti ma soprattutto ci pensino i ragazzi a far si che storie come questa non possano essere raccontate perché…perché non esistono. Non devono esistere. GRAZIE Teresa

Andrea Spessotto

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