La caccia alle balene. Una pratica crudele che Greenpeace cerca di combattere

La caccia alle balene per fini commerciali è una pratica antica contro cui, nel corso degli anni, si sono scagliate diverse organizzazioni internazionali e non governative. È stata vietata a partire dal 1986, quando è entrata in vigore una moratoria internazionale stabilita dalla Commissione Internazionale per la Caccia alle Balene (IWC). Ciononostante, vi sono molti Paesi le cui economie si basano in misura significativa sui proventi derivanti dal settore della pesca, che include anche le attività legate alla caccia alle balene. Tra questi vi sono la Norvegia, l’Islanda ed il Giappone, che hanno più volte violato importanti norme internazionali volte a salvaguardare la fauna marina. Nel 2014 infatti, il Giappone è stato coinvolto in una controversia a livello internazionale ed è poi stato condannato dalla Corte Internazionale di Giustizia per la caccia alle balene nell’Antartico. Il procedimento legale era stato avviato dall’Australia, che accusava il Giappone di aver violato gli obblighi previsti della Convenzione Internazionale per la Regolamentazione della Caccia alle Balene (‘ICRW’), conducendo attività illegali che ponevano potenzialmente a rischio la conservazione e la tutela dell’ambiente marino e delle specie viventi che lo popolano. Questa sentenza ha obbligato lo stato Nipponico ad interrompere i suoi progetti di caccia alle balene nell’Antartico. Tuttavia, negli anni successivi, questa crudele pratica è stata reintrodotta. Il Giappone, infatti, ha deciso di uscire dalla Commissione Baleniera Internazionale, riprendendo la caccia alle balene per destinarle al consumo alimentare.
Greenpeace è una delle ONG che si è maggiormente impegnata nella salvaguardia dei cetacei. Tra le risorse più importanti per fermare la caccia alle balene, Greenpeace suggerisce i cosiddetti “Santuari Marini”, ovvero aree proibite a qualsiasi uso estrattivo e di scarico. Attraverso la creazione di una rete di Santuari Marini, la flora e la fauna marina sarebbero protette dagli impatti negativi delle attività umane come la pesca o l’estrazione mineraria.
Come sostenuto da Greenpeace, è fondamentale preservare la biodiversità marina, poiché essa svolge un ruolo cruciale nell’equilibrio degli ecosistemi oceanici, garantendo la salute del nostro pianeta. Gli Stati e le organizzazioni internazionali devono attuare misure concrete orientate alla salvaguardia dell’ambiente marino, adottando politiche efficaci, riducendo l’inquinamento transfrontaliero e promuovendo lo sviluppo sostenibile.

Giulia Fasan

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