Il linguaggio e le lingue sono una splendida invenzione degli homines: sistemi di segni organizzati che permettono di tramandare e conservare informazioni. Ingegnosi ma non perfetti: a volte si tratta di sistemi così diversi che il passaggio dall’uno all’altro è impossibile; traduttore traditore, come si suol dire.
Chi non ha mai provato uno struggente desiderio di raggiungere qualcosa di impossibile? In tedesco si dice Sehnsucht. E quella soddisfazione che vi raggiunge alla sera di una giornata lavorativa? Sempre in tedesco si può usare la parola Feierabend. Forse una persona brillante troverebbe la soluzione con una battuta anche in queste situazioni, e in ungherese la chiameremmo Pihentagyú.
Insomma, al di là dei leggendari millemila modi di dire neve nella lingua degli Inuit, sono tante le parole nelle lingue parlate nel mondo che non possono essere tradotte con una sola parola nelle altre lingue: Tim Lomas alla Harvard University si occupa di raccogliere quelle parole intraducibili che hanno a che fare con il benessere. Il progetto si chiama The Positive Lexicography e nasce dall’esigenza dello psicologo di accostarsi alle persone con le parole più adatte per farle stare meglio.
Non avere le parole per dire che cosa proviamo è spesso la causa principale del nostro malessere: la terapia sta proprio nella ricerca di quelle parole o più spesso di quelle espressioni che ci permettono di dare un nome al nostro sentire. Se la nostra lingua non possedesse la parola esatta, perché dunque non prenderla a prestito altrove? Avere la possibilità di traghettare un concetto da una lingua A ad una lingua B significa proprio possedere quel concetto, dominarlo, conoscerlo, secondo il motto latino “Rem tene, verba sequentur”: per chi conosce l’argomento del discorso, le parole seguono autonomamente. Nel nostro caso viceversa: un lessico transculturale del benessere cataloga per aree tematiche le parole che ci servono per dominare gli argomenti, per controllare gli stati d’animo e di conseguenza stare meglio.
Il trucco sembrerebbe dunque quello di vivere come Flâneur francesi: passeggiare nella vita naso all’insù, pronti a cogliere ogni dettaglio come se fosse la forma del cornicione dei palazzi di una città.
Elisa Parise