“Quelli che riecheggiano lassù, fra le cime, non sono tuoni. Il fragore delle bombe austriache scuote anche i villaggi, mille metri più giù.
Restiamo soltanto noi donne, ed è a noi che il comando militare italiano chiede aiuto: alle nostre schiene, alle nostre gambe, alla nostra conoscenza di quelle vette e dei segreti per risalirle. Dobbiamo andare, altrimenti quei poveri ragazzi moriranno anche di fame.”
Le portatrici carniche erano quelle donne che nel corso della prima guerra mondiale “prestarono servizio” lungo il fronte della Carnia. Esse si caricavano di pesanti gerle per trasportare rifornimenti, armi e viveri agli uomini al fronte.
Fiori di roccia, così le avevano soprannominate affettuosamente i soldati, per la loro resistenza alla fatica, per il loro coraggio, per la capacità di portare speranza e un sorriso anche nei momenti più cupi, per il loro sostegno. Come quei fiori che caparbi crescono nei terreni montani rocciosi, resistenti e ostinati nonostante le condizioni avverse, di una bellezza inconsueta.
In questo romanzo Ilaria Tuti celebra il coraggio di queste grandi donne spesso dimenticate dalla storia, di cui purtroppo raramente si sente parlare. Lo fa con una delicatezza e una ricerca del linguaggio e delle sonorità che mi hanno colpito in particolar modo. Molto diverso dai suoi precedenti romanzi in cui ci aveva abituato alle vicende del commissario Teresa Battaglia e della sua squadra, ad una lettura scorrevole, ironica e coinvolgente. Qui ha saputo amalgamare sapientemente le vicende storiche, le ambientazioni reali alla parte più romanzata, riuscendo a raccontare anche l’amore che nonostante tutto resiste sempre.
Monia Rossi
“Anin, senò chei biadaz a murin encje di fan.”
Andiamo, altrimenti quei poveretti muoiono anche di fame.
Maria Plozner Mentil (1884 – 15 febbraio 1916)