Il marmo della panchina era freddo quella sera, amplificava di molto il senso di solitudine e smarrimento che ebbi in quella attesa mentre, seduto, aspettavo il mio cambio. Fu quello il ricordo più forte di quel viaggio che mi portò verso il centro Italia. Sguardi smarriti nei quali mi ritrovavo. Altri invece, sicuri e determinati, delle persone che si affrettavano verso le discese nei tunnel sotterranei; li invidiavo: tornavano a casa.
Fu la sera del primo giorno di naia, destinazione Orvieto, terzo batt. Granatieri di Sardegna, un mondo a me distante e sconosciuto.
Le stazioni ferroviarie mi hanno sempre affascinato, nel via vai delle persone, che in quei luoghi si incrociano. Migliaia di sconosciuti che, per un attimo, sfiorano le loro vite. Riprendendo le parole di Eugenio Finardi “mi sento solo in mezzo alla gente osservo tutto ma non tocco niente…” è questa la sensazione che ho sempre avuto salendo su uno di quei treni che mi portava, in modo altalenante, da Roma a Pordenone: dopo tre mesi fui trasferito là, ero pur sempre una delle guardie del Presidente della Repubblica.
Penso ai viaggi degli innamorati, con ben altre aspettative, o a quelli dei migranti ansiosi di riassaporare le loro terre d’origine. Ognuno di noi, per motivi differenti, porta con sé un pezzo di vita tra le rotaie italiane. Attimi in cui mondi distanti si sono incrociati senza conoscersi, portando con sé solo il ricordo del viaggio.
I treni hanno ispirato cantanti, scrittori, viaggiatori in cerca di emozioni, i sogni dei bambini che li attendono, tra la paura e lo stupore.
Alla fine, come disse Marcel Proust: “La scoperta non consiste nel cercare nuovi posti ma nel vedere con occhi diversi.”
Michele Vida “Baudasch”