«Un lampo di genio». «Mi si è accesa una lampadina». «Nel cassetto della memoria…». «Non so come mi è venuto in mente…». Espressioni con cui comunemente comunichiamo un pensiero improvviso, una rivelazione sorprendente, una scoperta non frutto dei nostri ragionamenti; INTUIZIONE è la parola giusta per definire questo stato delle cose.
Intuire da dove arrivi questa parola però non è così semplice: in- è il prefisso che significa “dentro”, ma poi c’è il verbo latino tueor, cioè “guardare”. Il verbo è di forma passiva, il che indica in latino una certa intensità dell’azione, come a dire che si tratta di uno sguardo intenso, profondo, non certo di un’occhiatina lanciata di sfuggita. Insomma se passeggiando per il centro città amiamo guardare le vetrine, useremo il verbo tueor solo per quella dello stilista che adoriamo o per il banco della pasticceria che al solo nome ci suscita l’acquolina in bocca.
Intuire dunque è guardare dentro in profondità, dentro se stessi e dentro le cose con sguardo acuto illuminato dalla sapienza. La percezione netta e immediata di fatti esterni o interni, quella che comunemente chiamiamo “intuzione”, gli psicologi la chiamano infatti “insight”: una visione interiore, anche per la terminologia di derivazione anglosassone.
Avere un’intuizione su di sé, percepire il proprio vissuto come unificato integrato e dotato di senso, è un dono delicato che ci suscita commozione profonda. Capita raramente ma alla luce di questa intuizione la nostra vita assume un senso nuovo e tutte le fratture appaiono riconciliate. Tueor significa anche prendersi cura e custodire e in latino si usa anche per i templi: le intuizioni ci custodiscono, ci restituiscono la sacralità della nostra persona, l’inviolabilità dell’essenza di noi stessi.
Intuire significa far proprio qualcosa così tanto che non ci serve ragionarci sopra: basta guardare dentro di noi per trovare la soluzione. Ha a che fare con l’intimità. Ma questa è un’altra parola…
Elisa Parise