L’ umano oltre la webcam

Molti si sono preparati con corsi di formazione specifica. Abilitati. Molti di più si sono addestrati sul campo giorno dopo giorno. Assoldati. I più ci sono entrati dopo rigorose selezioni. Arruolati. Ma chi veramente era pronto per la scuola a distanza?
La scuola italiana è un universo di cui si dice di tutto e di più: chi dice che abbia un percorso formativo eccellente, chi la combatte perché classista, chi la biasima perché non up-to-date, chi sottolinea l’assenza di fondi che ti impedisce perfino la carta igienica nei bagni (se poi c’è, ci pensano gli studenti che, si sa, non han riguardo delle cose della scuola: è testimoniato da stratificazioni di chewin-gum sotto ai banchi), figuriamoci la didattica individualizzata per competenze e i compiti di realtà.
La scuola italiana è un’enciclopedia di sigle: il MIUR sforna linee guida fitte fitte di norme per il POF che presto diventa PTOF, ci sono PDP e BES tra settembre e novembre, il PEI va rivisto poi nel PAI a maggiogiugno e il RAV controlla tutti ogni tre anni. Se ne perdi una devi rileggere il tomo delle sigle da capo. Adesso per esempio è tempo di DAD.
Anche qui gli studenti fanno la parte della lepre: cacciano i docenti fuori dalle videolezioni in Meet, sanno meglio di te come funzionano i docs, inventano il bar della scuola online. E i docenti arrancano come lente tartarughe: chi usa una piattaforma e chi un’altra e il terzo un’altra ancora, chi la webcam non sa accenderla e chi non può perché a casa con due figli adolescenti, un universitario e un bebè, la messa in piega di un mese fa e il monte bianc…heria da stirare è meglio di no. Chi si preoccupa di come fare con i voti, chi vuole evitare gli scopiazzamenti dei compiti. Chi non ha neppure una buona connessione. Già: anche gli studenti pluridotati di smartphone hanno poca connessione. E finiscono i giga.
La verità è che la Didattica A Distanza mette a nudo tutti: rivela la povertà di mezzi, lo scarso sviluppo delle telecomunicazioni in alcune aree del Paese, le difficoltà e le povertà delle famiglie, la pigrizia di alcuni studenti e il timore di alcuni docenti. Ma svela soprattutto l’industriosità di questi e quelli, l’amore e la passione per il sapere, per la disciplina ma anche per la relazione. Il docente scopre che vale la pena essere morbido sulle scadenze purché il lavoro sia fatto con rigore, il discente si sorprende della nostalgia per esercizi gessetti e registro.
“Umana cosa”: così inizia il Decameron di Boccaccio ed è l’ultimo passo che ho letto in presenza con i miei allievi di terza. Umana cosa è anche la DAD: la scuola è cosa da uomini liberi, anche in isolamento.

Elisa Parise

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